PMA: INSERIRE CICLI NEI LEA PER TUTELARE SALUTE CITTADINI E RIDURRE COSTI SOSTENUTI DA REGIONI MERIDIONALI
In Sicilia, su 36 centri, 7 sono pubblici e fanno 445 cicli (14%) e 29 sono privati ed effettuano il 86% dei trattamenti
''Più di un quarto delle donne esegue cicli di procreazione medicalmente assistita in altre regioni diverse da quelle di residenza, con una migrazione che va, tipicamente, da sud verso nord. Con questo tasso altissimo di mobilità passiva, tra l'altro in continua crescita, le regioni del nord continuano ad arricchirsi a spese delle regioni più povere. L’unico modo per superarlo è inserire la riproduzione assistita all’interno dei Lea, per far in modo che venga reso omogeneo su tutto il territorio tanto il servizio che il costo'', così il Presidente Palagiano commenta i dati della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori e i disavanzi sanitari regionali sulla PMA, presentati ieri.
''Questo contribuirebbe – aggiunge – a ridurre la mobilità, il ché costituirebbe un atto umanitario nei confronti delle coppie che si trovano ad affrontare una fase delicata come il progetto di diventare madri e padri, e si trovano costretti a farlo, non solo affrontando le difficoltà dovute alle tecniche in se stesse, ma anche lontani da affetti, famiglia e terre d’origine''.
Il 39% dei cicli riproduttivi fatti sui siciliani, ad esempio sono effettuati al nord, poiché nella maggior parte delle regioni del nord, tali trattamenti sono previsti all’interno del sistema sanitario regionale, mentre in altre regioni sono effettuati in centri privati e, dunque, a carico del paziente. In Sicilia, su 36 centri, 7 sono pubblici e fanno 445 cicli (14%) e 29 sono privati ed effettuano il 86% dei trattamenti. Quindi a pagare è la famiglia se il trattamento viene fatto nella propria regione d'origine, mentre paga quest'ultima se viene fatto in altre regioni diverse dalla propria.
Altro elemento significativo, è il rimborso medio nazionale per una fecondazione in vitro, corrisposto dalle Asl delle diverse regioni, pari a 1.934 euro, con una oscillazione del costo, che va da un minimo 928 a un massimo 3.547 euro, molto probabilmente specchio di performance diverse, di cui però nessuno può controllare i risultati.
''Sarebbe necessario prevedere un unico costo per il rimborso, valido in tutto il paese come avviene per le altre patologie. Appare improbabile d’altronde – spiega Palagiano -che una performance possa essere qualitativamente la medesima con rimborsi tanto differenti. Il dato evidenzia, invece, che le performance, quanto a know-how, ambienti, qualità dei materiali, non sono le stesse, ma nessuno può controllare i risultati''.