L'assistenza sanitaria universalistica non è qualcosa di scontato, è una conquista della democrazia italiana di pochi decenni fa
Pubblichiamo l'estratto della prefazione di Ignazio Marino al saggio Il prezzo della salute di Ottavio Davini
I tempi di crisi che stiamo vivendo costringono ognuno di noi, in ogni ambito, a misurarsi quotidianamente con le ristrettezze economiche e l'attività di far di conto. Ogni bilancio, pubblico, aziendale, familiare, è passato al setaccio, ogni voce di spesa riconsiderata e soppesata per valutarne la necessità. Forbici metaforiche sono in agguato ovunque per ridurre, tagliare, risparmiare.
E la sanità è più che mai nel mirino perché curare, e curarsi, costa. Le famiglie rinunciano alle visite di controllo non indispensabili, i conti della sanità di diverse regioni italiane sono in deficit, alcuni ospedali affrontano crisi di grave portata che li portano sull'orlo del fallimento.
È dunque di grande attualità in questa stagione un libro che si interroghi sulla sostenibilità della medicina e del servizio sanitario pubblico, della sua missione universalistica, più volte messa in discussione e concretamente insidiata dall'introduzione di imposte e ticket o dalla riduzione delle prestazioni, come fa diligentemente in questo libro Ottavio Davini che si chiede quanto a lungo potremo permetterci di curarci o di somministrare cure con le stesse metodologie utilizzate finora, e quanto questo sia ancora auspicabile e necessario. La nostra società potrà sopportare l'aumento della spesa sanitaria che la positiva crescita dell'aspettativa di vita comporta? Il bilancio pubblico potrà continuare a garantire a tutti la stessa assistenza sanitaria? Potremo ancora permetterci di curarci quanto e come vogliamo? C'è un eccesso di medicina nella nostra società, e se c'è, non può essere dannoso per il nostro organismo oltre che per le casse dello Stato o per il nostro portafoglio?
L'autore punta il dito su alcuni comportamenti di medici e pazienti che conducono a un esasperato utilizzo delle tecnologie che una scienza instancabilmente creatrice mette a nostra disposizione, alla trasformazione di ogni malessere, anche lieve, in una sindrome, all'inseguimento di diagnosi che possono indurre a terapie anche quando non sono strettamente necessarie, in una logica che a volte trascura gli eventuali effetti collaterali. Insomma, leggendo le pagine che seguono, ci si chiede infine, non staremo esagerando? Non è forse ora di tornare all'essenziale, ovvero a ciò che veramente è necessario e indispensabile, recuperando un rapporto più sereno e più sano con la medicina e con i farmaci? Il rapporto tra cure e costi, sostenibilità economica e ambientale della medicina, il nostro atteggiamento nei confronti della malattia e della morte sono indagati da Davini anche citando il punto di vista di importanti voci del nostro tempo, da Philip Roth a Tennessee Williams o Irène Némirovsky, da Daniel Callahan a Bob Kennedy.
Gli interrogativi proposti dal libro sono doverosi: in primo luogo le domande relative al rapporto tra salute e risorse. Basti pensare all'aumento significativo dell'aspettativa di vita e al traguardo dei cento anni di età che sta lentamente diventando meno eccezionale di un tempo. (....)
Il principio da salvaguardare, oggi come domani, è quello di garantire tutto ciò che è necessario a chi ne ha davvero bisogno. In questo quadro la parola chiave non è solo «risparmio», ma anche «riorganizzazione».
Nel Lazio, ad esempio, che assieme alla Campania determina il 60 per cento del deficit sanitario nazionale, esistono 1600 reparti guidati da un primario. Sono tutti necessari, o non è possibile ridurre ed eliminare i doppioni e le sovrapposizioni? Nel solo policlinico Umberto I di Roma si contano una ventina di laboratori di analisi, mentre ne basterebbe uno solo adeguatamente dotato di tecnologie e risorse umane. Nella stessa città di Roma convivono anche ben cinque centri per il trapianto di fegato che tutti assieme eseguono meno interventi dell'unico centro di Torino o di Pisa. Concentrarli in un'unica struttura sarebbe più efficace e più efficiente (....)
Appare difficile, nel quadro di politiche del rigore che oggi dobbiamo responsabilmente applicare, riflettere su come investire di più nel servizio sanitario nazionale. Eppure siamo costretti a confrontarci con i numeri e a sfatare un falso mito, quello del costo eccessivo della nostra sanità: la verità è che non spendiamo troppo per il servizio sanitario nazionale. La spesa può essere inefficiente, mal distribuita, non indenne da sprechi, ma non eccessiva, come dimostra il paragone con altri Paesi europei: se il nostro servizio pubblico costa ogni anno allo Stato 2341 dollari per abitante, la Gran Bretagna investe 2843 dollari, la Francia 3013, la Germania 3124; a spendere meno di noi sono solo la Spagna, la Grecia e il Portogallo. Insomma non spendiamo troppo, non più di altri. Seminai spendiamo male, e lo dimostra, ad esempio, la grande diversità di costo delle forniture e dei servizi. (...)
Da tempo insisto sull'opportunità di istituire un'authority nazionale indipendente che possa compiere verifiche sugli appalti, sull'acquisto di beni, servizi e prestazioni, come sulla gestione amministrativa di cliniche e aziende sanitarie. Servono energie, idee nuove, comportamenti responsabili, tecnologia per rendere la nostra sanità più organizzata e più efficiente. L'obiettivo è fare sì che il servizio sanitario pubblico resti tale e resti sostenibile nel tempo, per i nostri figli e i nostri nipoti. Perché l'assistenza sanitaria universalistica non è qualcosa di scontato, è una conquista della democrazia che l'Italia ha raggiunto solo pochi decenni fa e che va difesa con determinazione e con tutti gli strumenti a nostra disposizione.
Fonte: l'Unità
Ottavio Davini*, ''Il prezzo della salute, Nutrimenti editore
*Medico ospedaliero di trentennale esperienza, attualmente direttore dell’unità operativa di Radiologia del Pronto Soccorso dell’ospedale Le Molinette di Torino