Cassazione: informazione incompleta al paziente, paga il medico
La terza sezione civile della suprema corte si pronuncia nel merito
La paziente che si sottopone alla chiusura delle tube deve essere informata del margine di insuccesso insito nell'intervento. L'informazione deve riguardare sia il carattere irreversibile della sterilizzazione ma soprattutto il rischio di non sicuro risultato. Perché rientra nel patrimonio delle conoscenze di un ginecologo, ma non di una paziente, il pericolo che la legatura delle tube, eseguita in occasione di un parto cesareo, essendo i tessuti edematosi, non assicuri l'irreversibilità della sterilizzazione e possa risultare inadeguata a impedire la discesa dell'ovulo quando i tessuti tornano in condizioni di normalità.
Questa è l'opinione della terza sezione civile della Cassazione (sentenza n. 24109/2013, depositata il 24 ottobre), che ha cassato con rinvio alla Corte d'appello di Trieste la sentenza di merito che aveva dato torto alla paziente e a suo marito.
Alla donna, che aveva già avuto due figli nati con parto cesareo, era stata consigliata la sterilizzazione, dopo essere stata informata dell'esito irreversibile e rassicurata sull'impossibilità di ulteriori gravidanze. Certa di non poter più restare incinta, la paziente non aveva adottato alcuna misura anticoncezionale. Ma poco dopo aveva avuto un parto bigemellare.
Di qui la causa, centrata da una parte sull'inesatto adempimento dell'obbligazione (l'aver eseguito un intervento di sterilizzazione rivelatosi inidoneo a impedire la successiva ricanalizzazione tubarica) e dall'altra sulla mancanza di informazione sulla fallibilità dell'intervento.
Entrambe le doglianze sono state accolte dai Supremi Giudici secondo i quali la corretta informazione avrebbe evitato la violazione del diritto all'autodeterminazione della paziente, che - resa consapevole della non definitività della sterilizzazione e informata in maniera completa ed esaustiva sul bilancio rischi-vantaggi derivante dall'intervento - avrebbe potuto adottare gli opportuni accertamenti per impedire ulteriori gravidanze non volute.
Riguardo al riparto dell'onere della prova, i giudici hanno ricordato l'insegnamento della nota sentenza delle Sezioni Unite secondo la quale il creditore che agisce per il risarcimento del danno deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento (sentenza n. 13533/2001). Di conseguenza, il paziente che agisce deve soltanto provare il contratto e allegare l'inadempimento del medico, restando a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento, anche sotto il profilo dei doveri prodromici, come quello di informazione, e dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato causa del danno
(Fonte il Sole 24 ore sanità)
L’ufficio per la comunicazione OMCeO-Pa
Filippo Siragusa