Neuropsichiatria infantile: la rete, la ricerca e i servizi a Palermo
Intervistiamo Rosaria Nardello (Dirigente Medico di primo livello e Ricercatrice universitaria presso il Policlinico di Palermo)
Iniziamo con una domanda diffusa nella rete, prevalentemente nei forum di salute. Di che cosa si occupa il neuropsichiatra infantile e quali segnali in qualche misura devono orientare il genitore a richiedere la vostra consulenza?
La neuropsichiatria infantile è una branca della medicina, una specializzazione che si occupa dello sviluppo del bambino e dell’adolescente da un punto di vista neurologico e psichiatrico. La disciplina è relativamente giovane, nasce nel secondo dopoguerra come branca della neuropsichiatria che si occupava solo degli adulti. Oggi la vecchia neuropsichiatria in Italia è stata divisa in neurologia e psichiatria mentre l’attuale neuropsichiatria infantile in Italia costituisce un’unica specializzazione. In alcuni paesi europei esiste però la figura del Neuropediatra e del Pedopsichiatra, con una suddivisione delle specializzazioni. Il campo di applicazione della neuropsichiatria infantile è davvero molto vasto: dalle paralisi cerebrali infantili ai disturbi dell’apprendimento e del linguaggio, dalle neuropatie periferiche alle sindromi epilettiche, dalle cefalee ai deficit cognitivi, dal disturbo autistico all’ ADHD (disturbo da deficit di attenzione con iperattività, ndr). Quest’ultima è una patologia di cui mi sono particolarmente occupata, richiederebbe interventi di sensibilizzazione. In generale ci occupiamo anche di prevenzione, considerando che molte patologie si presentano già in età evolutiva e possono essere trattate e prevenute grazie ad un intervento precoce, a carattere farmacologico e/o psicoterapeutico. Ogni intervento è personalizzato, per cui occorre del tempo, e un ‘ottima competenza clinica. Questo è importante soprattutto nel campo adolescenziale, dove alcuni tratti “tipici” dell’età (sbalzi di umore repentini, comportamento scisso), che negli adulti assumono una connotazione differente, rischiano di essere inquadrati rigidamente in una categoria nosografica oppure il rischio opposto è quello di assumere un atteggiamento di attesa che talora può essere dannoso per il paziente. Nel momento in cui le persone che si occupano dei minori, notano delle difficoltà di qualsiasi genere, per esempio una difficoltà di apprendimento, una difficoltà della concentrazione, un ritardo del linguaggio, un comportamento etero o auto aggressivo è necessario che si rivolgano allo specialista affinchè ,attraverso le sue competenze, possa capire se si tratta di un disturbo che richiede un intervento mirato o se si tratta di un evento isolato e passeggero. La neuropsichiatria infantile prende in carico poi anche il contesto, rappresentato dalla famiglia e dalla scuola. Ribadisco che è particolarmente importante la precocità dell’intervento perché le potenzialità di sviluppo del bambino sono elevate e l’intervento di recupero può essere condotto con maggiore successo che in un adulto.
La sua giornata-tipo e lo stato del servizio al Policlinico...
L’unità operativa di neuropsichiatria infantile del Policlinico di Palermo come molte altre realtà del territorio dovrebbe essere potenziata. All’interno di questa unità svolgiamo servizio io, la Dott.ssa Fontana, psicologa, e il Professore Mangano. Abbiamo anche la preziosa collaborazione dei nostri allievi della Scuola di Specializzazione in Neuropsichiatria Infantile di cui io sono docente e tutor. La nostra giornata standard è organizzata con rigore perché siamo divisi tra regime assistenziale, ricerca, insegnamento e consulenze per il Tribunale dei Minori.
La figura del Neuropsichiatra infantile nel Servizio sanitario nazionale, considerando la mole delle patologie che possono interessare lo sviluppo psicomotorio, ma anche i compiti gravosi di consulenza che svolgete presso i Tribunali (ad esempio per l'affidamento dei minori) rimane ancora marginale. Qual è il fabbisogno di salute e quali sono le resistenze istituzionali a investire nella vostra professione?
Credo possa dipendere, non senza provocazione, anche dalla scarsa attenzione verso l’infanzia e l’adolescenza, in considerazione del fatto che bambini e adolescenti sono soggetti non produttivi. Nel sistema economico non vi è una considerazione del soggetto bambino (come dell’anziano, ndr), una sorta di ‘invisibilità’ sociale. Anche l’aspetto del minore appeal della specializzazione, da un punto di vista gestionale, rispetto ad altri ambiti può avere influenzato nel tempo gli investimenti e il potenziamento del servizio territoriale. C’è poi da parte di alcuni colleghi la demonizzazione dei farmaci nell’infanzia e nell’adolescenza. Abbiamo assistito tante volte a polemiche relativamente all’utilizzo di alcuni farmaci come è accaduto, ad esempio, con il Ritalin (impiegato per l’ADHD e introdotto in Italia solo nel 2007, ndr).
E’ vero che i genitori si vergognano dei loro bambini quando assumono farmaci prescritti dal neuropsichiatra infantile…
E’ un aspetto ancora presente nella nostra società, vi è ancora una resistenza culturale verso le patologia neuropsichiatriche, un vecchio retaggio. I genitori poi però riusciamo a sensibilizzarli e a responsabilizzarli. Oggi dobbiamo anche contrastare la modalità di consultazione on line, che può generare confusione, paura e disinformazione nei genitori. Il nostro è un lavoro di relazione, verso il bambino e di costruzione della fiducia con i genitori. Alla base del nostro lavoro vi è la duplice relazione che occorre costruire con i genitori e il bambino che deve essere preparato. Mai dire ad un/a bambino/a: “Ti porto da un’amica di mamma…” quando arriva alla nostra consultazione.
Il gap che registriamo in Sicilia nella vostra area specialistica è il solito gap nord-sud, collegato ai ritardi di riqualificazione del nostro sistema dei servizi territoriali?
In realtà la debolezza della figura professionale si riscontra nel sistema sanitario a livello nazionale. Certo la Sicilia registri un certo ritardo organizzativo e gestionale su molti fronti per cui forse soffriamo di più…
In Italia la ricerca scientifica ha subito pesanti tagli. Anche la vostra area è interessata dalla precarietà di risorse o le cose vanno un po’ meglio?
I tagli hanno interessato tutta la ricerca e nel nostro settore non vi è oggi maggiore sofferenza. Dal punto di vista del potere contrattuale però il fronte della ricerca scientifica della neuropsichiatria si è significativamente indebolito rispetto a qualche anno fa, alla fase che ha visto l’impegno in prima linea del Prof. Giovanni Bollea, anche sul versante pedagogico e delle istanze della prevenzione. Oggi, ad esempio, siamo corteggiati dalla pediatria mentre a mio avviso per la neuropsichiatria infantile occorre mantenere specificità e autonomia, evitando che diventi la sottobranca di altre discipline. Nel nostro versante poi risulta fondamentale svolgere in piena simbiosi i compiti di ricerca e l’attività assistenziale.
Le reti territoriali (pediatra di famiglia, scuole, famiglie, servizi) relativamente alla sensibilizzazione sulla salute dei bambini raramente risultano efficaci. Che cosa si può fare e come si può rafforzare questo raccordo? Si parla molto di rete ma si opera poco a livello interistituzionale.
Il rapporto con i pediatri è in generale abbastanza comunicativo, naturalmente dipende anche dall’apertura mentale personale e può variare da caso a caso; nella mia esperienza la relazione professionale con il pediatra di famiglia spesso è collaborativa e costruttiva; ci sono però ancora delle resistenze, alcuni pediatri ritengono che alcune problematiche a carattere neuropsichiatrico possano ‘aggiustarsi’ nella fase evolutiva del bambino. In realtà è sempre opportuno richiedere la consulenza di un neuropsichiatra infantile per prevenire eventuali disturbi che durante la crescita invece potrebbero conoscere una evoluzione negativa. Il nostro servizio è già strutturato nella rete territoriale. In atto vi è però talvolta una cattiva comunicazione tra gli enti e si corre il rischio, nelle diverse competenze burocratiche, di smarrire l’obiettivo principale, che rimane la salute del bambino. Particolarmente importante, dal mio punto di vista, è anche la comunicazione con gli Osservatori che si occupano di dispersione scolastica. Ho avuto modo di constatare, analizzando le storie dei soggetti detenuti al Malaspina di Palermo che, in molti casi, il fallimento del loro progetto di vita aveva inizio con la dispersione scolastica. Credo che si debba lavorare molto ancora per le pari opportunità dei soggetti deboli...
Il neuropsichiatra infantile è lo specialista dell'handicap e della sua gestione globale, svolge compiti importanti nei percorsi di integrazione dei disabili. Il problema dell’inclusione sociale dei disabili però è sempre più grande dei servizi che le agenzie educative erogano..
Dopo il raggiungimento della maggiore età, per i soggetti disabili si registra il vuoto dei servizi; non ci sono attività utili per il loro inserimento socio-lavorativo per cui l’integrazione rimane un percorso esclusivamente familiare e scolastico. La carenza dei servizi di centro diurno, residenziali, la mancanza di opportunità di inserimento aziendale in tanti casi (nelle forme gravi, già difficilmente gestibili nelle stesse strutture) si traducono in un carico di lavoro eccessivo per le famiglie. Purtroppo c’è tanto ancora da fare ma devo dire che, nell’ultimo anno, abbiamo avuto modo di registrare un incremento dell’attenzione nei confronti del bambino non solo da parte del genitore ma anche da parte degli insegnanti e di tutti coloro che si occupano dell’infanzia e dell’adolescenza. Ciò potrebbe essere, a mio avviso, il frutto di una maggiore informazione della popolazione che, sebbene talvolta non proprio corretta, potrebbe portare a una maggiore attenzione di segnali di “disagio”.