Lettetra congiunta Piero Muzzetto - Presidente Omceo di Parma e Toti Amato - Presidente l Omceo Palermo alla FNOMCEO e a tutti gli ordini
La pubblicistica di questi giorni ci offre all’attenzione proposte di Legge che, a parte scontate affermazioni politiche, sono oggetto di discussione e ancor prima d’analisi nella forma e nella sostanza.
Nella forma, perché è evidente lo scollamento delle istituzioni che non si parlano o si parlano in modo incongruo. Di contenuto, perché le ultime proposte, mal scritte e criptiche, delineano una professione medica inesistente, tratteggiata, immaginata e mai fino in fondo nominata.
Anche laddove si parla d’interconnessione professionale e delle varie specificità, la figura medica è collocata in una sorta di limbo. E, per alterno destino, ne scaturisce una classe medica poco o mal considerata; vista eventualmente come risorsa da sfruttare nel contenzioso, piuttosto che essere apprezzata per le sue virtù ed indubbie peculiarità. Se non volutamente considerata fonte di spesa, perché imputata d’applicare disinvoltamente a sua tutela la “medicina difensiva”. E come tale da “mazziare”.
Le modifiche all’originaria proposta Lorenzin confermano il giudizio di meticciato legislativo, che è di per sé fonte di perplessità, ancor più perché nata senza la condivisione col mondo ordinistico. Così da farla apparire ancor più confusa e non solo mal scritta.
Aspetti che vanno ben al di là delle procedure elettorali degli Ordini, dei mandati dei presidenti o dei componenti dei comitati direttivi; o da altrettanti e non meno importanti aspetti della giustizia deontologica. Ma fin dall’incipit il medico è ancora una volta un esercente sanitario, e la sua storia ordinistica si diluisce in quella dei quasi quaranta nuovi ordini.
Per quanto siano di una certa importanza, appare riduttivo soffermarsi sul numero dei mandati e sulla loro durata, consapevoli come siamo che due siano alquanto limitativi della buona funzionalità di un Ordine, in rapporto alla complessità di gestione e agli obiettivi. Ma è davvero fuori luogo parlare di elezioni democratiche degli ordini e coll’emendamento recentemente proposto in commissione si voglia specificarlo per legge: di per sé un atto irriguardoso, fuorviante e indecoroso. Di questo ne dovremo comunque parlare, ma dopo aver fatto una considerazione di fondo.
Tanti ordini equivalgono a nessun ordine. Tante professioni sanitarie legittimano un’unica professione sanitaria. Tutti insieme appassionatamente. Come nel film cult di Robert Wise. Ma la proposta di legge non potrà avere lo stesso riconoscimento del film insignito da ben 5 Oscar. Non glieli daranno certo i medici che rappresentiamo e men che meno noi, nella veste di ordinisti dotati di buon senso.
Nella realtà, il moltiplicarsi delle professioni produce effetti che rendono difficili i rapporti interprofessionali – fra le diverse professioni storiche e quelle d’annata, o novelle, chiamate alla dignità dell’Albo – e nel contempo si crea una grande confusione. Complicando ulteriormente quanto è già complicato di suo.
Questa proposta incide sulle nostre funzioni di ordini storici e ci crea non pochi problemi in ambito deontologico: ancor più non risolve i difficili rapporti collaborativi colla Magistratura e con l’Organismo inquirente, quando necessita avere piuttosto una nuova legittimazione dell’agire in via preventiva, assegnando maggiori deleghe in ambito sanzionatorio per fatti deontologicamente e socialmente rilevanti. Legittimando ad esempio la sospensione cautelare temporanea in casi di comprovata e oggettivata gravità.
Per far ciò lo Stato deve fare una scelta di campo, funzionale e non ideologica. Ma non può delegittimare la professione medica, perché se così facesse dimostrerebbe di non tener conto dei valori, peculiari come quelli del medico e del suo ruolo nella società. Non riconoscendo peraltro il valore che è insito nelle professioni, si misconoscono automaticamente i valori della società.
Questa proposta delegittima non solo la storia medica ma di contro legittima il livellamento professionale - che è il retro pensiero che, e sono molti a pensarlo, ha ispirato la filiera legislativa recente – e se ne ha riprova negli atti della commissione affari sociali della Camera, quando si è imposto di togliere dalla legge sulla responsabilità fu-medica ogni riferimento semantico proprio al medico. Cosa peraltro fatta molto diligentemente.
Di un retro pensiero condiviso ne è ulteriore testimonianza l’insistente e intransigente opposizione alle nostre (federative) modifiche alla proposta di legge 2224, a suo tempo indicate, e che oggi la Federazione avrebbe modo di ribadire incidendo con autorevolezza sulla materia, chiamata a farlo in forza degli ODG acquisiti dal Governo per l’attuazione, ove viene indicata come attrice, proponente e garante della professione.
Per cui la Federazione è chiamata all’onere dei fatti, per rendere giustizia, rimediandovi, al vulnus ancora aperto della genericità delle definizioni e degli altri aspetti meno qualificanti della Legge, a tutela della propria onorabilità e di quella di tutti i medici italiani che rappresenta.
In sostanza non si tratta d’opporsi allo sviluppo delle professioni, ma è indispensabile esigere quel rispetto interprofessionale che le stesse professioni reclamano, esigendo il dovuto riguardo della dignità del medico come si riserva ad ogni professionista, attraverso il riconoscimento di ruolo, funzione e responsabilità di ciascuno: ovvero unicuique suum tribuere.
Vorremmo capire il senso delle cose e della manovra politica, che mira a normare le più svariate, meno reali o fantasiose, professioni sanitarie, confluenti in un grande ordine dai molti albi; inserendovi altre professioni, che si vogliono presenti a vario titolo nel sistema di gestione della salute, sebbene con competenze non certo primarie e, comunque, non tali da riconoscerle in un Ordine professionale.
Il pericolo che si corre è duplice: sopravvalutare talune figure e nel contempo sottovalutarne altre, prescindendo dal reale peso sociale e professionale.
Come depositari della deontologia e richiamandoci a quel senso etico, che è poi l’agire col buon senso da parte di chi operi nella pubblica utilità, non possiamo prescindere dal riconoscere il valore delle singole professioni ma non certo consentiamo che sia delegittimata la professione medica.
È conseguente pensare che uno Stato che non riconosca le differenze delle professioni non conosce di fatto i valori morali della società.
Raccogliendo le istanze di questi giorni che ci coinvolgono come medici e come Istituzione medica forse sarebbe ancor più opportuno parlarne diffusamente insieme in CN, nel rispetto soprattutto del nostro ruolo.
La presente nota che vi inviamo congiuntamente è stata condivisa nei contenuti e approvata preventivamente dai nostri rispettivi consigli.