“BUONGIORNO SIGNORINA”: MARIA BELLOMO, IL CHIRURGO DEI NOSTRI GIORNI - nei ricordi della figlia Donatella Vaccaro
INTERVISTA alla figlia Donatella Vaccaro
La chirurgia del terzo millennio resta maschia
Senza volere scomodare Margaret Ann Bulkley, l’irlandese che a inizio Ottocento dovette fingere per tutta la vita di essere un uomo per potere diventare un chirurgo, la storia è piena di donne di scienza che per raggiungere il loro sogno hanno dovuto superare difficoltà e pregiudizi.
Da allora, molte cose sono cambiate. La folta schiera delle donne medico hanno battuto i loro colleghi uomini. Ma sono solo numeri perché, se è vero che da vent’anni a questa parte il numero delle donne di scienza vola, nelle posizioni apicali restano gli uomini e nelle sale operatorie la crescita media annuale di donne con il bisturi in mano è di appena il 2%, come ha segnalato Anaoo Donne.
Seguendo il filo rosso delle donne medico che della chirurgia, più della medicina, hanno fatto la loro ragione di vita, c’è chi pensa sia solo un caso la crescita così modesta delle donne chirurgo, chi l’ascrive alle maggiori capacità manuali richieste, in cui gli uomini si sentono storicamente più forti rispetto alla clinica; chi annovera la chirurgia, senza farne una questione sessista, tra le discipline che meno si conciliano con la vita di donna e di madre.
Non è detto infatti che il maschilismo si dichiari. In certe specialità mediche può bastare una battuta o un saluto apparentemente candido come “Buongiorno signorina” piuttosto che “Buongiorno dottoressa” perché una donna possa decidere di cambiare ambito sanitario o resistere caparbiamente per affermare libertà professionale.
La pioniera del bisturi in Sicilia
Così è stato per Maria Bellomo, la pioniera del bisturi in Sicilia. Nata il 1° luglio del 1926 a Calascibetta, nell’Ennese. Chirurgo appassionato, ma soprattutto “donna libera, tenace e curiosa – come la ricorda la figlia Donatella Vaccaro, medico di medicina generale -", Maria egli anni ’50 si divideva fra la sala operatoria della Patologia chirurgica del Policlinico, della Clinica Villa dei Gerani e la medicina generale del suo ambulatorio a Palermo”.
“Era il ‘46, un anno dopo la fine della guerra, quando si iscrisse in Medicina e Chirurgia a Palermo. Su 100 iscritti, erano solo cinque le donne - racconta Donatella - . Lei scelse di fare il chirurgo, le altre quattro colleghe specializzazioni diverse. Tutte hanno poi raggiunto posizioni apicali”.
Era nata in una casa che portava con sé la passione per la medicina. Il padre, medico condotto a Calascibetta, paese natio, morì a 42 anni nel 1937, quando Maria aveva solo 8 anni.
“Aveva deciso di proseguire il sogno del padre interrotto bruscamente – prosegue la figlia - specializzandosi in Patologia chirurgica e anestesiologia. Dopo la laurea si trasferì subito alla clinica Villa dei Gerani con il professore Gioacchino Nicolosi, dove cominciò ad esercitare la sua attività di chirurgo”.
"La formazione di un chirurgo è sempre stata dura, ma a quei tempi - come spiega Donatella - avveniva sul campo, senza orari di riposo e di lavoro, in un ambiente gentile ma non accogliente. Dove invece di essere chiamata dottoressa, medici e infermieri chiamavano mia madre ‘signorina’. Ma lei era forte, anche se rispettosa e sottomessa ad un sistema che privilegiava gli uomini. Da medico, aveva deciso di farsi strada nella chirurgia e da donna aveva scelto la professione di un uomo, nascondendo qualsiasi debolezza e accettando di lavorare intere giornate senza concedersi riposo”.
Oggi quasi un terzo delle donne medico si specializza in chirurgia, ma resta un ambito prevalentemente maschile. Secondo i dati raccolti dai medici Cliff Straehley e Patrizia Longo per l'American Journal of Surgery, oltre il 75 per cento delle donne chirurgo ha subito episodi discriminanti nel corso della carriera.
“Forse a quel tempo erano più subdoli, mia madre li chiamava ‘palestra di vita’”, ricorda la dottoressa Vaccaro”. “L’ultimo episodio fu nel ‘57 – prosegue -. Aveva deciso di licenziarsi per sposare mio padre, Mario Vaccaro, anche lui medico. Quando lo comunicò in clinica, il professore Nicolosi le disse che l’avrebbe costretto a prendere tre giovanotti e metterli in condizione di vivere”. Sì, perché Maria Bellomo era in clinica 24 ore su 24, passando dall’attività chirurgica in sala operatoria a quella di medico di guardia nella stessa clinica.
Dopo il matrimonio, Maria continuò a praticare la chirurgia privatamente insieme al marito. Poi scelse di fare il medico di famiglia, attività che svolse a Palermo fino settant’anni. Rimase iscritta all’Ordine dei medici fino all’ultimo giorno di vita perché per lei la professione era “paradigma di vita”.
Maria Bellomo è deceduta lo scorso marzo all'età di 92 anni.
Stefania Sgarlata | mob. +39 339.1554110