Specialisti e strutture convenzionate tra nuove tariffe e rischio collasso
Intervista al cardiologo Marcello Raineri
I nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea) sono stati momentaneamente difesi grazie alla decisione del Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio che, il 31 dicembre scorso, ha accolto l’istanza di revoca presentata dall’Avvocatura generale dello Stato e ha sospeso il provvedimento di blocco delle tariffe per la specialistica ambulatoriale introdotte dal decreto tariffe. Tuttavia, si tratta solo di uno sblocco provvisorio in attesa della Camera di consiglio prevista per il prossimo 28 gennaio.
Se il decreto fosse rimasto sospeso, avrebbe provocato gravissime ripercussioni sulla prescrizione, prenotazione ed erogazione delle prestazioni, con disagi per i cittadini e possibili ritardi nell’accesso alle cure. Le Regioni, che avevano già iniziato ad applicare il nuovo nomenclatore, continueranno quindi ad adottarlo fino alla prossima udienza.
Nel frattempo, il Sindacato Branche a Visita (Sbv) e il Cimest (Coordinamento Intersindacale Medicina Specialistica del Territorio), rappresentati dallo studio legale Pensabene Lionti, insieme ad un centinaio di strutture sanitarie convenzionate con il Sistema sanitario nazionale, hanno impugnato davanti al Tar del Lazio il decreto che definisce le nuove tariffe per la remunerazione delle prestazioni di assistenza specialistica e protesica in regime di convenzione. Le sigle sindacali puntano il dito contro un nuovo nomenclatore ancorato ai “Tariffari Bindi” del 1996 e Balduzzi del 2012, senza considerare inflazione, rivalutazione monetaria e l’aumento dei costi in 27 anni, rendendo insostenibile l’intero sistema sanitario, che rischia il collasso.
In questo contesto, per analizzare gli effetti e le criticità su medici, strutture e pazienti, approfondiamo il tema con il cardiologo Marcello Raineri, componente del direttivo del Sindacato Polispecialistico Medici e Strutture Accreditate (SBV- Sindacato branche a visita), nonché segretario per la provincia di Palermo.
Come valuta l’impatto del nuovo tariffario sulla professione medica, in particolare per gli specialisti ambulatoriali convenzionati, e in che misura ritiene possa ricadere negativamente sui pazienti in termini di tempi di attesa e qualità delle cure?
La revisione del tariffario avrebbe dovuto rappresentare un deciso passo avanti per allineare i compensi ai costi effettivi delle prestazioni. Invece, si profila il rischio di un’ulteriore penalizzazione per le strutture e per gli stessi specialisti, oltre a possibili ripercussioni sui pazienti. L’aggiornamento non tiene conto delle reali spese sostenute dai professionisti, aggravate dall’incremento dei prezzi di materiali e tecnologie.
Ciò può condizionare l’operatività quotidiana e, in prospettiva, ridurre drasticamente l’offerta delle prestazioni in convenzione: se le tariffe non coprono i costi di gestione, le liste d’attesa si allungano e cala la qualità dei servizi. Un esempio chiaro riguarda la cardiologia, dove una visita con elettrocardiogramma viene rimborsata con solo 6 euro netti, dimenticando la natura intellettuale e complessa del lavoro medico. Analogamente, la riabilitazione cardiologica viene liquidata a 3,85 euro l’ora, contro i 19,11 euro (già bassi) del tariffario Bindi del 1996. In questo quadro, diventa difficile assicurare un’assistenza adeguata, con il serio pericolo di un collasso del sistema sanitario convenzionato.
Quali criticità emergono dal punto di vista organizzativo per le strutture accreditate. Esistono rischi di accentuare le disuguaglianze territoriali?
In Italia le strutture convenzionate sono l’ultimo baluardo di sanità pubblica perché erogano tra il 60% ed il 75% di tutte le prestazioni specialistiche territoriali. Oggi vivono una doppia criticità. Da un lato, devono adeguare in tempi molto stretti i propri sistemi informatici alle nuove tariffe; dall’altro, temono che i rimborsi non siano sufficienti a coprire i reali costi delle prestazioni, rischiando così di ridurre l’offerta di servizi. La situazione è particolarmente difficile per le strutture più piccole, che potrebbero dover limitare la gamma di prestazioni, con conseguenze dirette sull’accesso dei cittadini alla cura.
È uno scenario che coinvolge tutte le regioni, anche se alcune partono da situazioni molto diverse. Alcune dispongono di fondi propri e infrastrutture sufficienti per recepire e applicare il nuovo tariffario senza troppi scossoni, altre come la Sicilia, con un piano di rientro da rispettare, ne risentirebbero pesantemente. In assenza di correttivi mirati, c’è il timore che i pazienti delle aree più svantaggiate si trovino ancora una volta a dover attendere di più o a ricevere un’assistenza meno aggiornata. Ecco perché chiediamo, come sindacato, un coordinamento più solido a livello nazionale e di rendere il nuovo sistema più flessibile, per evitare disparità sul territorio.
Quali iniziative sono state avanzate per rivedere le tariffe di specialistica ambulatoriale e protesica e quali i prossimi passi per migliorare il sistema e le relazioni tra medici, strutture accreditate e Ministero della Salute?
Come Sindacato Branche a Visita abbiamo chiesto insieme a più di cento altre rappresentanze di categoria un tavolo tecnico permanente con il Ministero per valutare in modo puntuale i costi di gestione delle strutture e l’impatto delle tecnologie più avanzate. È necessario definire un meccanismo di aggiornamento tariffario periodico, tempestivo e flessibile, in grado di recepire le variazioni di mercato e consentire eventuali correzioni. Al contempo, occorre trovare un equilibrio tra la sostenibilità economica del Servizio sanitario e la qualità delle prestazioni, istituendo un monitoraggio serrato dell’efficacia del decreto. Infine, è imprescindibile il coinvolgimento permanente di specialisti, associazioni e rappresentanze delle strutture, così da evitare che riforme cruciali – come l’adeguamento del nomenclatore – restino ancorate a parametri superati, e favorire un dialogo strutturato tra tutte le figure interessate e il Ministero della Salute.